Arte e vita
impegni nel campo
dell'arte.

Verso la fine del 2000 mi trovavo a casa dell’artista ed amico Salvador Presta, fondatore della tendenza di Arte Madì Italia e mentre discutevamo sulle sfide poste dal nuovo millennio, Presta mi disse: “Tu potresti fare l’artista: ho notato che, oltre a solida preparazione di base, possiedi anche le doti necessarie per inserirti nel campo dell’arte”. Incuriosito iniziai a cimentarmi con matita su carta, in progetti aventi una base geometrica elementare per poi passare a pannelli tamburati 100x100x3cm. Il progetto di questi miei lavori prevedeva una griglia strutturale a 9 settori, con suddivisioni sempre diverse, alla ricerca di un senso di strutturazione costruttiva. Le mie opere piacevano, grazie anche ai tanti anni di frequentazione dell’arte contemporanea di tendenza geometrica astratta.
 
Creai così un cerchio cromatico completo partendo dai colori in commercio, con i quali realizzai le prime 6 opere in dimensione 50×50 cm, una prima vera ricerca di spazi, segni, colori. 
Continuai con altri progetti fatti mantenendo sempre una dimensione di quadri 50×50, più consona alla ricerca e di assai più facile realizzazione pratica ed anche di minore impegno ideativo. 
Nel 2004-5, scegliendo i colori tra quelli disponibili e creando quelli intermedi, eseguii la serie di palette dei miei 48 colori personali. Più tardi perciò, nella mia ricerca di una migliore comprensione dell’operare artistico, ho scoperto tutto ad un tratto il colore bianco, che ho iniziato ad utilizzare in punti strategici per valorizzare, con la sua presenza luminosa, gli incontri delle fasce cromatiche. Nell’anno 2007-8 pur continuando a dipingere, mi sono preso il tempo necessario per focalizzarmi sul rinnovamento delle 48 palettecolore e per la determinazione e la definizione dei loro rapporti cromatici. Ho preparato quindi i pigmenti in vasetti a perfetta tenuta d’aria, uno per ogni colore, venendo contraddistinti ciascuno dai numeri da 1 a 48 progressivi. Ciò mi permise di avere sempre pronti all’uso tutti i colori scelti e, su questo zoccolo, sono riuscito a dare sistemazione al mio lavoro basandomi su una ripetizione programmata sempre diversa del loro utilizzo; ciò che è risultato poi inaspettatamente piuttosto armonioso cromaticamente ed anche piacevolmente intrigante.

Dal figurativo
all'astratto.

Al momento del mio diploma di perito meccanico, in concomitanza con l’inizio dell’azienda della mia famiglia, ho cambiato obiettivo e mi sono concentrato sugli oggetti di uso industriale, nostri e della concorrenza per cercare di migliorarli. Costretto prima e affascinato poi dal rigore delle forme e dalla complessità degli elementi componenti, sono stato in contatto con la “frigidità’” del metallo adoperato, l’ottone il quale si riscalda solo dopo molto tempo che lo si gira e rigira tra le mani. Mi sono esercitato a descrivere tutti questi prodotti graficamente ed ho scoperto che anche gli oggetti paiono avere anima, cuore, mente: interagiscono con i pensieri miei quasi come se venissero a far parte del mio vivere quotidiano. Ho così creato le mie prime “nature morte”: “aggeggi” di metallo. Ero comunque meravigliato dalla perfezione dei dispositivi da studiare: volevo saperne di più, conoscerli meglio per poterli apprezzare e amare per le forme estetiche e le per funzioni esplicate e, spinto dalla necessità, mi ero attrezzato per smontare, ispezionare e sezionare i vari oggetti, per scoprirne l’essenza e per penetrarne con arguzia e curiosità i suoi materiali meandri interni. La mia curiosità era stimolata: nasceva così la mia passione per il disegno di tipo tecnico. Era così forte il desiderio di rappresentare graficamente “una cosa”, che io non ponevo limiti di tempo a ciò: eseguivo rilevazioni grafiche dei vari prodotti con un rispettoso approccio come se essi fossero “ritratti”, “panorami” o “nature morte”; mi sembrava così di impadronirmi degli oggetti osservati, di possederne la forma, il gusto, il profumo, oppure la rigidità e la freddezza. Anche il colore aveva i suoi spazi: inizialmente era applicato a campiture piatte, senza riferimenti alla presenza della luce; in seguito applicavo il sistema delle variazioni di tono inseguendo la luce nelle sue scansioni cromatiche. Nell’applicare le tinte cercavo effetti tridimensionali e prospettici ricorrendo a fasce graduate per rispecchiare la presenza della luce. Ogni volta che eseguivo un’opera, mi soffermavo a osservare forme e colori: essendo collegati principalmente al materiale di cui erano costituiti, li vedevo sempre più distaccati dalla realtà; li volevo più semplificati e sintetici, meno banali e più costruiti secondo uno schema logico mio, incentrato sulla volontà di dare spazio alla fantasia, cercando di trasformarla con creatività e con concretezza.